Un cuore da guarire per accogliere il Regno – XXVII Dom. T.O.
L’atteggiamento da imparare è quello di Gesù: rivela il progetto del Padre e si fa nostro fratello per accompagnarci a viverlo.
Oltre il lecito
Nel racconto evangelico di oggi, Gesù è coinvolto, “per metterlo alla prova”, in una controversia come tante, ancora una volta innescata dai farisei. La risposta di Gesù mostra la volontà di portare chi lo sfida alla Volontà del Creatore, oltre il lecito previsto dalla casistica contenuta nella Torah.
In altri termini, come i farisei e i discepoli di allora, anche noi, oggi, siamo invitati a verificare il filtro con cui ci accostiamo al mondo: possiamo guardare alle situazioni di sofferenza (nel caso del vangelo, al fallimento di un matrimonio) secondo il criterio è giusto / non è giusto, si può fare / non si può fare; oppure, secondo la parola del Maestro, giudicare la realtà secondo ciò che vorrebbe il Padre, secondo il suo progetto, senza accontentarci di mezze misure e di sicurezze già note e a buon mercato .
Il Mite che s’indigna
“Colui che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da una stessa origine; per questo non si vergogna di chiamarli fratelli” (Eb 2,11)La Parola si pone di fronte a noi in modo esigente e ci interpella al cuore delle nostre scelte. Meglio ancora: interpella il nostro cuore e ci chiede di ammorbidirlo. Non possiamo utilizzare la volontà del Creatore come un’arma da scagliare contro i fratelli e le sorelle tribolati e feriti. Neppure, ci possiamo accostare con scarsa delicatezza ai fallimenti altrui. Piuttosto, l’atteggiamento da imparare è quello di Gesù: rivela il progetto del Padre e si fa nostro fratello per accompagnarci a viverlo.
Il Mite per eccellenza, a ben guardare, non se la prende con chi fallisce. Piuttosto “s’indigna” (il verbo greco usato – aganaktéo – vuole esprimere indignazione, irritazione, indisposizione) con i discepoli che, molto zelanti, vogliono impedire che dei bambini entrino in contatto con Lui. Gesù se la prende duramente con i suoi che non hanno ancora compreso il suo stile di accoglienza nei confronti degli emarginati e degli esclusi , come lo erano, appunto, i bambini, secondo le tradizioni dell’epoca (non potevano ascoltare e studiare la Torah, dunque erano disprezzati).
Abbassarsi e benedire
A prima vista può sembrare che le due parti del vangelo odierno – la disputa sul divorzio e l’accoglienza dei bambini – siano slegate fra loro. Eppure, a mio avviso, possiamo sottolineare un aspetto in comune: la durezza del cuore.
I farisei non vanno oltre gli schemi conosciuti e discussi e non comprendono il progetto originario del Padre che ha creato uomo e donna “a sua immagine”, perché diventino una carne sola.
“Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio” (Mc 10,14)
I discepoli, d’altro canto, non sono sintonizzati con lo stile del Maestro e ancora non accettano che il Regno sia per gli ultimi e i disprezzati, più che una questione di meriti da accampare. In queste durezze di cuore, probabilmente, ciascuno di noi può riconoscere le sue, a diversi livelli.
Per non fermarci a guardare solo alle nostre “malattie cardiache”, ma provare anche ad abbozzare una diagnosi, fermiamoci a contemplare l’ultimo versetto del brano: “E, prendendoli tra le braccia, li benediceva, imponendo loro le mani” (Mc 10,16). Due rimedi ci mostra Gesù. Due atteggiamenti, da imparare da lui. “Imparate da me che sono mite ed umile di cuore” (Mt 11,29)
Abbassarsi, per poter abbracciare l’altro nella sua fragilità… e per lasciarci abbracciare nelle nostre. E benedire, ringraziando il Padre che ci mette accanto fratelli e sorelle bisognosi di cura per ammorbidire il nostro cuore e sperimentare quanto sia bello voler bene a qualcuno.
L’atteggiamento da imparare è quello di Gesù: rivela il progetto del Padre e si fa nostro fratello per accompagnarci a viverlo. #twittomelia https://t.co/EdbiG8j7or
— #twittomelia (@twittomelia) 6 ottobre 2018

Marco Ferrari

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