L’asino crocifisso – Domenica delle Palme

Il graffito di Alessameno (III sec. d.C.)
Mi ha sempre curiosamente interpellato un singolare graffito che ci è arrivato dal III secolo e oggi conservato presso l’Antiquarium del Palatino. L’incisione rappresenta un asino crocifisso adorato da un uomo. Accanto, con grafia irregolare, una scritta: Alexamenos sebete theon, “Alessameno venera [il suo] Dio”. Probabilmente un graffito fatto per irridere i cristiani, chiara espressione di quello “scandalo per i Giudei e stoltezza per i Pagani” (1 Cor 10,23) che è la croce di Cristo. E una testimonianza del fatto che i vandali e le scritte fuori dalle scuole non sono esclusiva dei nostri giorni (sì, è stato ritrovato in una sorta di collegio per i figli della “Roma bene” dell’epoca).
Eppure credo che quel graffito sia particolarmente suggestivo in questa domenica. Domenica delle Palme in cui siamo messi di fronte al paradosso della croce, tesi tra glorificazione e abbassamento, accoglienza festosa e rifiuto, canti di gioia e grido sofferente gonfio di abbandono. In cui Gesù entra a Gerusalemme a dorso di un asinello per accogliere come un asino mansueto il fardello della croce.
Viviamo spesso una vita da muli. Non tanto perché lavoriamo un sacco. Piuttosto perché, chini su noi stessi, intenti a bastarci, andiamo avanti a testa bassa, gravati dal fardello sempre più pesante del nostro ego smisurato. Non ci accorgiamo nemmeno di che razza di macigno ci portiamo sulle spalle. Talvolta, forse, quando il carico è così gravoso da schiacciarci a terra, in qualche rovinosa caduta. Eppure ben presto ci rialziamo, se ne abbiamo ancora un po’. E andiamo avanti a muso duro, sempre più risentiti verso la vita, sempre più gravidi di noi stessi… in fondo sempre più infelici. Perché siamo convinti che la felicità sia non avere legami che ci opprimano.
Nel cammino verso la croce, Gesù si fa asino più di noi. Si carica sulle spalle la nostra bestialità gravata. Prende su di sé il fardello insensato con cui continuiamo a trascinarci nella vita. Si svuota di sé per gravarsi di noi, ci direbbe l’Apostolo Paolo.
Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo (Filippesi 2,6-7)
E proprio per questo opera il misterioso scambio che ci salva. Lui Dio, prende la nostra umanità gravata perché possiamo vivere come dèi. Lui pieno di divina umanità, si fa asino crocifisso, perché Alessameno possa stare ai piedi della croce non da asino, ma da uomo.
A noi, asini ancora carichi di noi stessi che resta da fare?
Andate nel villaggio di fronte a voi e subito, entrando in esso, troverete un puledro legato, sul quale nessuno è ancora salito. Slegatelo e portatelo qui. E se qualcuno vi dirà: “Perché fate questo?”, rispondete: “Il Signore ne ha bisogno”. (Marco 11,2-3)
Slegati da noi stessi, noi che sul nostro dorso non carichiamo nessuno, possiamo portare lui. Lui che è in ogni fratello e sorella. È questo il giogo dolce, il carico leggero (Matteo 11,30).
La felicità non è non avere legami o carichi da portare. La felicità è portare il carico giusto.
Gesù come un asino si carica del nostro fardello,
perché a dorso libero possiamo portare Lui,
presente in ogni uomo e donna. #twittomelia https://t.co/7c36ChEsyj— #twittomelia (@twittomelia) 24 marzo 2018

Daniele Pressi

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